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Il segno, e il colore. Così lo spazio aggrovigliato della realtà interiore diventa terreno per una lotta infinita in cui si esplica l'unica rivoluzione possibile: contro se stessi. E nelle tele di Giovanni Muggiasca la tensione è sempre tra due campi di forza in una contrapposizione dialettica tra sé e sé, tra interno ed esterno, tra uomo e natura. Il percorso si snoda in un eterno conflitto in cui la superficie del quadro è il luogo della drammaturgia dei segni, il teatro della rappresentazione che ritorna sempre alla citazione. E' una simbologia primaria che affiora e s'impone con naturalezza e forza. “Il simbolo dell'arte è la condensazione del tempo nello spazio dell'immagine, e come lapsus, la rappresentazione del desiderio dell'artista di persistere, di durare nei tragitti della storia, di promuovere l'immortalità del proprio segno e del proprio carattere... nella condensazione spaziale il simbolo trattiene il proprio tempo ma anche prevede il futuro” (Achille Bonito Oliva). Poi il colore, primario anch'esso. Giallo e ancora giallo. Che si può fare arancione, poi ancora rosa e rosso magenta. “Si sa che il giallo, l'arancione e il rosso ispirano e rappresentano un'idea di gioia, di ricchezza” (Delacroix). Sono composizioni che sfumano in un impercettibile che non ha limite perché la consapevolezza è che si può sempre andare un po' più in là, che un passo ancora può essere compiuto prima dell'abisso. Un abisso sfiorato, temuto, vinto gia innumerevoli volte da chi ha sperimentato, magari per arrivare a opposte conclusioni: “Mi sono precipitato attraverso la gradazione blu limitativa del colore e sono arrivato al bianco: dopo di me, compagni aviatori navigano nell'abisso” (Malevic).

(M. Cavallarin)